Come affermato nel precedente post, la mia intenzione è affrontare da diversi punti di vista il tema dell’intervento agli Arconi del Soprammuro. In questo post analizzerò la strategia urbana sottesa alla realizzazione di questo intervento. La mia tesi è che la scelta della vecchia amministrazione Boccali di realizzare una bibliomediateca al loro interno appartenga ad un modo di concepire lo sviluppo della città che vada definitivamente superato. In altre parole, la bruttezza o meno dell’intervento architettonico di cui si discute oggi – e su cui spero intervenga un ripensamento – è solo una componente di una serie di “arretratezze” che a Perugia, come altrove in Italia, hanno carattere paradigmatico.
Per rendere più chiaro a cosa faccio riferimento, sono partito nel precedente post dal racconto di quello che per me è un antefatto fondamentale: la decisione dell’Amministrazione (di poco precedente) di non dare corso al Project Financing di Nova Oberdan; un progetto che prevedeva, nella stessa area e in parte all’interno degli stessi edifici, la realizzazione di 12.000 metri quadrati di superfici commerciali nel quadro di una completa rigenerazione dell’area del Mercato Coperto.
L’obiettivo di quell’intervento era potenziare e modernizzare la funzione commerciale nel centro storico dopo circa 30 anni in cui tutto questo era avvenuto – e tutt’ora avviene – al suo esterno. Questo obiettivo era strettamente connesso alla presenza del Minimetrò. Anche in questo caso il tentativo era quello d’invertire la tendenza consolidata negli ultimi decenni che ha visto solo la strada, il parcheggio e l’uso del mezzo privato come il volano fondamentale dell’accessibilità dei nuovi insediamenti commerciali della città.
La posta in gioco di quell’intervento non era dunque riscattare dal degrado alcuni edifici pubblici nel cuore del Centro Storico di Perugia ma era quella di promuovere un nuovo e diverso assetto della città, i cui assi fondamentali erano l’inserimento di nuove funzioni all’interno del tessuto urbano del centro della città (Infill), uno sviluppo orientato al e dall’uso del trasporto pubblico (Transit oriented development), l’uso della dell’aumento della rendita urbana generata da un’opera infrastrutturale pubblica (Land value capture). In altre parole si trattava di un intervento a carattere paradigmatico di un nuovo modo di intendere lo sviluppo urbano (Smart Growth), in linea con le migliori pratiche mondiali nel campo dello sviluppo sostenibile e della rigenerazione urbana.
L’Amministrazione Boccali, sia nelle sue componenti politiche che tecniche, non ha mai né promosso né fatto propri questo obiettivi[1], limitandosi a quell’accondiscendente politica del laissez faire[2] che ha contraddistinto la stagione delle giunte di centro-sinistra dalla metà degli anni ’80 sino agli anni ’10 del 2000. La riprova di quanto sto affermando sta nella decisione del vecchio Sindaco di rinunciare all’iniziativa, dopo che i privati avevano richiesto un maggiore sostegno pubblico con cui riequilibrare il calo dei valori immobiliari intervenuti dopo l’inizio della crisi economica[3]. Dopo l’accantonamento di questo progetto, quando nel 2013 si era già in clima pre-elettorale, l’Amministrazione Boccali promuove invece il progetto di una bibliomediateca all’interno dei soli Arconi del Soprammuro. Si tratta di un intervento dedicato alla cultura e all’aggregazione giovanile sul modello dell’IdeaStore britannico, qualche cosa di molto più cool e politically correct di un centro commerciale.
Dal punto di vista urbanistico la scelta è di segno radicalmente contrario rispetto all’intervento bocciato solo l’anno precedente. L’Amministrazione Boccali applica un teorema consolidato a Perugia (e non solo) che prevede che nel Centro Storico trovino spazio le sole funzioni culturali e politico-amministrative “alte” e il cosiddetto “commercio di qualità”. Qual è il principale corollario di questo teorema? Alcune funzioni urbane, specie quelle produttive, direzionali e commerciali di grossa taglia e che generano i maggiori flussi di persone e di attività indotte, devono essere ubicate in estrema periferia, a ridosso delle grandi arterie stradali e all’interno in grandi capannoni circondati da parcheggi sterminati. Detto in altre parole – inglesi e non a caso – il corollario del teorema del Centro Storico mummificato, iper-tutelato e dove hanno “diritto di cittadinanza” solo funzioni col pedigree, è l’urban sprawl.
Questa rigida dualità tra centro e periferia, tra antico e contemporaneo, tra la città dell’auto e della sua proibizione, rappresenta – come ho tentato di argomentare in Learning from Perugia – la principale determinante dell’assetto urbanistico della Perugia contemporanea. Un assetto caratterizzato da una rigida e spasmodica conservazione dell’ambiente costruito del Centro Storico insieme ad un totale disinteresse per le conseguenze del decentramento funzionale e della dispersione urbana che viene incoraggiato nel territorio periferico.
Il primo effetto di questo approccio allo sviluppo urbanistico della città è privare il centro della città di un sufficiente potere “gravitazionale” in grado di attrarre persone, attività economiche e sociali. Il secondo è promuovere l’uso intensivo dell’auto, vale a dire l’unico mezzo di trasporto in sinergia con la disseminazione delle attività nel territorio. Il terzo è la penalizzazione di tutte quelle forme di trasporto che invece si avvantaggiano della compattezza e della densità della città, come l’andare a piedi e il trasporto pubblico e condiviso. Il quarto effetto è la riduzione del Centro Storico ad una zona monofunzionale, puro fondale per la realizzazione di eventi e mera infrastruttura per lo svago, da luogo a non-luogo.
In conclusione, pur trovando discutibile il progetto architettonico della bibliomediateca dal punto di vista architettonico (e ne parlerò in un post specifico) ciò che trovo ancora più discutibile è la strategia urbana cui questo intervento appartiene e che è ben lontana dall’essere messa in discussione (e non solo a Perugia).
[1] E non solo…le principali avversarie del progetto di Nova Oberdan furono le associazioni ambientaliste che, a Perugia come altrove in Italia, spesso si mobilitano sulla base di informazioni errate dovute all’assenza di dialogo e partecipazione nella fase progettuale (in cui si impostano dunque gli obiettivi e gli assi prioritari d’intervento).
[2] A Perugia, dall’intervento di Fontivegge in poi, tutte la grandi operazioni immobiliari in grado di influenzare l’assetto urbanistico della città sono state attivate con continue varianti al PRG in base alle occasioni di valorizzazione immobiliare provenienti dall’iniziativa privata.
[3] Crisi da cui non siamo ancora usciti e in cui ci si è avvitati in seguito al calo degli investimenti e alla conseguente mancanza di stimolo alla domanda aggregata, la cosiddetta austerità.